Volkhavaar. by Tanith Lee

Volkhavaar. by Tanith Lee

autore:Tanith Lee [Lee, Tanith]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fantascienza
editore: Bologna, Libra
pubblicato: 1978-01-01T23:00:00+00:00


12.

La Fiera Primaverile del Sole, ad Arkev, incominciò all’alba, quando il canto dei sacerdoti si levò dal Tempio del Sole. Vennero percossi i gong d’oro, e stormi di colombi vennero lanciati verso la cupola di cristallo roseo del cielo. Dalla Piazza Grande della Città saliva un frastuono che sembrava quello di due eserciti, quattro arene di tauromachia, otto orchestre e sedici taverne. C’erano tutti i colori e tutti i suoni e tutti gli odori conosciuti nel Korkeem… ed anche alcuni che non vi erano noti. Le meraviglie si schiudevano come i fiori e le code dei pavoni, e le polveri e gli incensi si dispiegavano davanti al carro del sole in un velo color malva, mentre ga-loppava verso il mattino.

A sud della grande piazza sorgeva il palazzo del duca, al limitare del mercato. L’enorme scalinata esterna di marmo saliva e saliva, e sopra ogni ventesimo gradino stavano due guardie in uniformi cremisi, oro e bianco, con spade bianche infilate nelle cinture d’oro, su fino all’ultima spianata marmorea, all’ombra delle torri splendenti, dove le cinque grandi entrate sfolgoravano nelle mura bianche, ed ogni porta era di bronzo martellato in-tarsiato d’oro e d’argento e di smalti preziosi, ogni porta era sbarrata da cinque guardie cremisi, con i cani-lupi neri accovacciati ai loro piedi e trattenuti da guinzagli d’argento: e più oltre quel brillio e quello splendore, al-l’interno, c’erano le fresche sale azzurre e bianche.

Anche lì, impudentemente, il frastuono della Fiera Primaverile entrava clamoreggiando, senza lasciarsi trattenere dalla scalinata o dalle guardie o dalle porte o dai cani, e faceva vibrare i vetri istoriati delle finestre, sve-gliando la moglie del duca nel letto di raso, e la povera, scialba figlia del duca che, sotto la nube temporalesca di un baldacchino di velluto, sognava d’inseguire una silfide bianca, delicata e desiderabile, dai capelli color li-mone, nei freschi colonnati dei boschi, e di raggiungerla in riva al ruscello e…

«Suvvia, suvvia,» disse il duca, «sono sicuro che possiamo metterci d’accordo.»

«Forse no,» disse altezzosamente la silfide. «Di solito io uccido tutti i viaggiatori che mi seguono. Li conduco nell’acqua e li annego.»

«Suvvia,» disse il nobile, assumendo un’aria maestosa. «Io sono Moyko, il tuo duca.»

«Per la verità, resteresti molto stupito se ti dicessi i nomi di tutti i personaggi importanti che ho avuto l’onore di affogare, qui nel mio umile fiumi-cello. Anzi, c’è soltanto un uomo che io rispetto, e che temo troppo per pensare di trattarlo allo stesso modo.»

«E chi è?» chiese alteramente il duca Moyko.

«Ma è Volk Volkhavaar, il Signore dei Maghi. Persino tu, duca, che dormi in un letto di velluto, ti toglierai il cappello per rendergli omaggio, quando te lo ordinerà.»

A questo punto il duca si svegliò, benché gli sembrasse che fosse stata una fantasticheria piuttosto che un sogno. Si scrollò, stizzito, e tirò il cordone dorato accanto al letto perché i servitori gli portassero l’abituale bevanda mattutina di vino, miele e chiodi di garofano.

«Volk Volk… quello che è,» borbottò. «Che razza di pensiero, per un duca.»

Oltre la finestra dai vetri blu scuro qualcosa svolazzò e s’innalzò nel cielo.



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